T. PER SEMPRE

L’arte di vivere T. l’aveva stampata sul suo sorriso.
Quando le nostre vite si sono incrociate avevamo 9 anni io e 10 anni lui, eravamo in piazzetta, la nostra comune amica Veronica tentò di presentarci, ma T. camminava avanti e indietro sul muretto, penso mi stesse studiando, poi ad un certo punto saltò giù e finalmente si presentò: “Ciao sono UGA” , ovviamente gli chiesi se veramente si chiamasse UGA e lui mi rispose che “UGA” derivava da una conta che faceva abitualmente, per questo motivo gli altri bambini cominciarono a chiamarlo UGA.
Da quel momento in avanti la nostra amicizia è cresciuta insieme a noi.
Abbiamo avuto la fortuna di viverci nei momenti più belli e spensierati, le vacanze estive, il mare, gli amici ed una vita ancora tutta da scoprire.Ogni anno a fine scuola, si partiva per le vacanze ed io sapevo che appena toccato il suolo sardo lui sarebbe stato li o sarebbe arrivato in pochi giorni e finalmente avremmo ripreso ciò che avevamo interrotto.

Posso dire con certezza assoluta che le estati che ci hanno portato all’adolescenza e poi all’età adulta sono stati i momenti più felici della mia vita, eravamo una grande squadra.
Io passavo molto più tempo a casa sua che a casa mia, adoravo la WONDER (la sua nonna materna) un mix assoluto di simpatia e schiettezza; la verità è che tutti noi bambini “invidiavamo” T. perché la sua WONDER, oltre a cucinare amorevolmente per lui dei manicaretti deliziosi (ricordo la famosa zuppa inglese), era veramente pazzesca.
Intorno agli 11 anni T. ci introdusse alla musica, sapevi che stava arrivando perché veniva preceduto dal ROCK duro, QUEEN, DIRE STRAITS, EUROPE, JON BON JOVI, GUNS AND ROSES, NIRVANA (cito questi gruppi ma dovrei scriverne per ore); lui e solo lui aveva deciso di dare un giro di vite al villaggio, e con la sua radiona sulla spalla, la valigetta con le musi-cassete e il cambio batterie (quelle giganti), arrivava puntualmente tutte le sere appena dopo cena e da li “that’s a party”.
Tutti noi abbiamo sognato grazie alla sua immensa passione per la musica, abbiamo vissuto le nostre estati sullo sfondo delle sue play list.
T. è stato l’artefice della mia prima pizza senza genitori, del mio primo auto-stop, della mia prima bravata (mi ha fatto guidare la sua moto, ovviamente senza che io avessi la patente) per svariati chilometri (eravamo talmente folli che abbiamo girato per una giornata intera), del mio primo aperitivo, della mia prima volta in discoteca, della mia prima volta in barca senza genitori… T. c’era sempre.

Crescendo, abbiamo condiviso veramente tanto e non sono stati sempre e solo momenti felici, perché purtroppo la vita è fatta di tanti ingredienti, tra cui la tristezza nelle sue differenti gradazioni (i miei problemi, i suoi problemi, le sue perdite, le mie, le mie disillusioni, le sue).
Come spesso accade, anche noi ci siamo allontanati, l’università, gli “amori”, la vita; ma ogni volta che avevamo l’occasione di riprenderci, facevamo il pieno di abbracci infiniti, di risate a crepa pelle, di sguardi che avevano un codice segreto che apparteneva solo a noi.

Quando ero fidanzata con quello che è diventato mio marito, T., nei miei momenti di sconforto che coincidevano con il dileguarsi del mio fidanzato (ovviamente su questo punto ci tornerò), riuscì a dirmi una frase che porterò con me per sempre (con il suo inconfondibile accento, oggi Monza- Brianza): “Se fossi come te, avrei casa sulla luna con vista sulla terra”, ancora adesso mi viene da ridere e vorrei con tutta me stessa ridere con lui.
Quando ebbi mio figlio gli chiesi di venire a trovarmi, ma ad un certo punto smise di rispondermi, pensai che fosse preso con il lavoro, poi un giorno mi chiamò e mi disse una frase che non avrei mai e poi mai pensato di sentire, era lontana dai miei pensieri anni luce, la ricordo ancora oggi con il cuore in gola: “Sono in chemio”.
Il resto è un tornado che ha travolto tutti coloro che lo amavano, i suoi genitori (che ho sempre adorato), la sua CUGIA (che lui amava come fosse una sorella), la sua ragazza, e tutti noi amici e conoscenti.

La malattia è stata feroce, lui ha combattuto con tutte le sue forze con a fianco il suo esercito di cuori che lo ha sostenuto senza riserve.
Ci siamo rivisti, pensavo ed ero certa che fosse in remissione, andammo a pranzo al Golf, io, mia sorella, M. e lui, è stato bellissimo, abbiamo schernito la malattia con delle parolacce da censura, abbiamo parlato delle vacanze, della vita e del suo futuro.
Quel giorno tornai a casa dalla mia famiglia, dal mio piccolino, con una carica infinita, ero felice, il mio T. finalmente stava bene, mi aveva regalato ancora una volta il suo meraviglioso sorriso e suo abbracci avvolgenti.

Ovviamente, avevo sottovalutato la malattia, avevo pensato che lui fosse salvo, mi ero sbagliata, un giorno lo chiamai ed il telefono era spento, chiamai M. e mi disse che T. era in ospedale.
Da quel momento in avanti è stato un susseguirsi di aggiornamenti, di speranze ed infine di buio.
M. mi telefonò e mi disse: “T. non c’è più”.

Io e mia sorella partimmo immediatamente, ci stavamo dirigendo verso il buio, non ricordo nulla, ho pochi fotogrammi che non dimenticherò mai, l’abbraccio di M. quando sono arrivata, il corridoio pieno di amici, parenti e lacrime, chiesi dove fosse, aprii la porta di questa minuscola stanzina e lo vidi coperto da un telo bianco, vidi i suoi piedi ed il suo viso, ricordo di averlo accarezzato e di aver abbracciato forte forte la sua mamma ed il suo papà, poi sono uscita, sono andata all’aperto, mi sentivo stringere la gola mi gelai.
In quel preciso momento, sentii un freddo indescrivibile accompagnato da un’incapacità assoluta di accettare la sua assenza. Una malattia, terribile, aggressiva ed assolutamente ingiusta aveva spento il mio T., la sua infinita voglia di vivere, il suo ottimismo, la sua persona, tutto era diventato buio e freddo. Nei giorni successivi alla scomparsa di T., realizzai che non avrei mai più potuto vedere e sentire T., non avrei mai più potuto abbracciarlo, ridere con lui, realizzai che tutta quella parte di vita vissuta con lui sarebbe rimasta solamente nel mio cuore, nei miei ricordi ed in quelli di tutti coloro che gli volevano bene, questo pensiero ebbe la capacità di illuminare il buio.

Il suo funerale rappresentò appieno chi era T., un esercito di cuori, provenienti da ogni dove, riuscirono a riempire la sua assenza (per pochissimi istanti), c’erano persone ovunque, la chiesa era gremita, il cimitero non aveva abbastanza superficie calpestabile per ospitare tutti coloro che si trovavano riuniti per celebrare tutto ciò che lui rappresentava, un figlio, un cugino, un fidanzato, un amico, UGA, in quel momento T. stava legando con un filo invisibile chiamato “amicizia” tutti noi.

La Sua perdita spinse immediatamente l’esercito dei cuori, che aveva combattuto al suo fianco, a non rendere sterile la sua assenza, venne pertanto creata l’associazione Matteo Riboldi www.associazionematteoriboldi.org, T. e la sua volontà di aiutare la ricerca e di aiutare altri malati si trasformò in questa associazione. Ogni anno l’esercito dei cuori capitanato da mamma Dony e da papà Lele si riunisce per celebrare T. e la sua incredibile voglia di vivere.
T. per sempre!

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